E’ la mattina del 10 Giugno, sono
sulla spiaggia di Pescara. C’è un bel sole e Federico gioca con la sabbia.
Mauro è in acqua, sta nuotando la prima frazione dell’IronMan 70.3 del 2012. La
boa è lontanissima ed i ragazzi che nuotano, visti da dove sono io, sembrano uccelli
che si agitano nell’acqua sollevando con le ali una nuvola di spruzzi. C’è uno
speaker su una torre. Le casse disseminate vicino all’arrivo riempiono l’aria
di parole. Non le ascolto. Poi questa voce mi entra nella testa. Dice: “ Vi
ricordo che a questa gara partecipa anche un atleta disabile, a cui purtroppo
mancano le gambe e che percorre la frazione di nuoto a dorso”. Clic.
All’epoca del IronMan di Pescara
del 2012 nuotavo una volta alla settimana. Mai per più di un ora. Mai per più
di 2000 m. Era un riempimento, un modo per scaricare nell’acqua un po’ di
tensione. Funzionava. Avevo perso qualche chilo, mi sentivo abbastanza
tranquillo dopo. Arrivavo da qualche mese alla soglia dei due chilometri senza
molta fatica, senza pensare a superarla. Poi c’è stato il Clic di Pescara.
L’idea che non vale la pena rimanere ad un passo dai propri limiti e che anzi,
tenersi quel passo indietro significava sostanzialmente rimanere fermi. Da Pescara ho cominciato a cercare il mio
limite. Dov’è la soglia della mia fatica, oggi? Quanto posso correre prima di
dire davvero “non ce la faccio più?”. Quanto posso nuotare in un’ora? E la
prossima volta, quanto meglio della precedente posso fare?
I metri in piscina sono
aumentati. Prima sono venuti i 500 m tutti d’un fiato, poi gli allenamenti sono diventati due, poi è
aumentato il totale, fino a 2200 m. Era ancora poco. “Ce la farò a farne 2400?
Se non ce la faccio, nuoto per un altro po’, posso nuotare per più di un’ora
del resto”.
E così è arrivata l’estate. Gli
allenamenti sono diventati tre, visto che Ale e Federico non erano a casa e stare
da solo mi uccide di noia. E’ arrivato il superamento della soglia dei 3000
nuotati in una sola sessione, e gli allenamenti da un’ora e mezza. La prima
volta che ho nuotato di fila un 1500, con il cuore che nelle ultime due vasche
mi batteva per la fatica e l’emozione di esserci riuscito non la dimenticherò
mai. E poi la corsa della domenica. Prima pochi chilometri, poi via via a
crescere fino a Settembre. Quindici chilometri in un’ora e mezza. Mai fatto,
neanche a 18 anni.
A chi corre o nuota da parecchio
tempo questi numeri, questi tempi, fanno sorridere. Ma questi numeri, questi
tempi, sono il centimetro che io guadagno nei confronti del mio limite, quel
limite che guardo in faccia ogni volta che entro in acqua ed ho paura di non riuscire
a nuotare neanche per 100 metri. Metto la testa sotto e gli vado incontro. Qualche volta vinco io, altre volte vince lui,
come quando mi vengono i crampi nel bel mezzo di un 200 un po’ più tirato, o
quando comincio un 1000 e la paura mi blocca il respiro, fino a farmi fermare. Quando
vince lui, il limite, io faccio sempre la stessa cosa. Metto di nuovo la capa
sotto e riparto. E di solito vinco io. Almeno, finora ho vinto io.
Adesso ho anche una motivazione
in più, qualcosa, qualcuno a cui pensare. Ho un compagno a cui passare un
testimone, il prima possibile. Ho un mare in cui nuotare ogni tanto, nella mia
testa, cercando di arrivare prima ad una boa e poi ad una spiaggia. Ed ho una
strada su cui correre, per un chilometro, con entrambi i miei compagni di
staffetta.
Con il mio primo compagno, Rocco,
condivido l’insana passione per il nero ed il blu. Sarà bello passare un
testimone ad un altro interista. Sarà bello vederlo partire in bici ed
aspettare che arrivi, il prima possibile. So che ce la farà. Noi non molliamo
mai.
Con Tony ho condiviso una fetta
bella della mia vita. L’ho svegliato, urlando nel sonno, la mattina del mio
esame di ammissione al dottorato. Abbiamo condiviso birre, pizze, colazioni a
base di ricotta di pecora, cassatelle e vino bianco, risate, ansie, gioie ed un
senso di libertà che ho provato raramente.
Io e Rocco siamo già all’ultimo
chilometro, ad aspettarti, Tony.
Questa staffetta sarà una sfida
bellissima, spettacolare e durissima. Mauro è un avversario tosto. Mauro è uno
che si è andato a prendere un IronMan con i denti e con le unghie, contro ogni
sfortuna, ogni malessere. Ma l’avversario peggiore non è lui. Il nostro, o
almeno il mio avversario è quel limite incontro al quale corro ogni volta che mi
alleno.